Eroe della libertà o dittatore comunista?
Definire Fidel soltanto come comunista è assolutamente riduttivo. Protagonista di una storia unica. Una storia di rivoluzione e libertà che ha lasciato il segno nel millennio scorso e continua ad essere presente nella ricerca di un’evoluzione che non sacrifichi le conquiste fatte.
Nel riflettere su questi temi dal giorno della scomparsa di Fidel avvenuta il 25 novembre scorso, ripensando alla persona e alla storia che con forza ha scritto, mi è tornato in mente il viaggio che feci nel 2004 con l’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, insieme a Gino Donè, l’italiano partigiano e rivoluzionario che partecipò allo sbarco da cui è cominciata questa grande storia. E mi sono tornate in mente le diverse ore di riprese fatte durante quel viaggio e mai utilizzate, che ho montato per realizzarne un video (di circa 22 minuti) e condividere quei momenti.

Dalle visite ufficiali nei luoghi pubblici, scuole, case di riposo e aziende agricole, a quello che è stato uno degli ultimi discorsi di Fidel (un breve ritaglio) durante la commemorazione del primo maggio nella grande Plaza de la Revolución, con la sua consueta teatrale, verbosa e debordante oratoria. Oltre alle tante meraviglie di quest’isola, luoghi, sapori, suoni, cultura e una caliente umanità. Una sintesi di immagini ed emozioni come mio personale tributo per accompagnare così Fidel nell’ultimo viaggio da L’Avana a Santiago de Cuba.

Fidel Castro Ruz, un promettente studente di famiglia benestante che insieme ad altri giovani abbandona tutte le certezze per imbarcarsi in quella grande avventura di liberazione dalla tirannia, dalla sopraffazione e dal giogo di un governo fantoccio sostenuto dalle strategie imperialiste degli Stati Uniti. Una rivoluzione inizialmente non proprio comunista, piuttosto umanista, ispirata alla romantica rivoluzione bolivariana o alla lotta per l’indipendenza dalla Spagna di José Martí nell’Ottocento.
E fu così, dopo il fallito tentativo di assalto alla caserma Moncada, che il 25 novembre 1956 ritorna all’attacco:  a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma, un gruppo di 82 rivoluzionari tra cui anche il fratello Raul, Ernesto Che Guevara, Camilo Cienfuegos e il partigiano italiano Gino Donè tenta un assalto all’isola dal sapore alquanto piratesco.

Gino Donè

Un tentativo che inizialmente sembrava avere storia breve: solo in 12 sopravvissero agli esordi prima della ritirata sulla Sierra da cui cominciò la guerriglia che portò alla cacciata del generale, ex sergente Fulgencio Batista, capo fantoccio di un governo illegittimo e servo degli USA, con l’ingresso a L’Avana a capodanno del ’59. Una rivoluzione sostenuta da gran parte della popolazione, soprattutto contadini, e basata sul progetto di riforma agraria e nazionalizzazione delle principali attività dell’isola, oltre che animata da uno spiccato ideale antimperialista.
Comincia così questa grande avventura che ha infuocato gli animi di un popolo ma anche le speranze di chiunque nel mondo si battesse per libertà e indipendenza dal giogo di colonialisti, imperialisti e dittatori. Un simbolo in America latina per il sogno di riscatto e giustizia sociale, il sogno di un’utopia egualitaria, resistente, libertaria. Un modello per le nuove generazioni che sognavano la libertà e una rivoluzione diversa da quella degli oscuri burocrati sovietici.
Ma la parte più difficile comincia proprio dopo la rivoluzione. Governare significa fare i conti con problemi grandi, misurarsi con mediazioni obbligate e soprattutto con la grande potenza militare statunitense, ad appena un centinaio di kilometri da Cuba, che certamente non aveva gradito un tale affronto ad un passo da casa propria. Non gradiva soprattutto l’essere stata privata di quel fantastico giardino di casa in cui la malavita nordamericana poteva condurre impunemente traffici di ogni genere, dal riciclaggio di denaro al gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione, all’organizzazione di riunioni tra padrini in lussuosi hotel, in una logica neocolonialista/predatoria, con la popolazione locale alla fame e in condizioni sociali disastrose.
Se da una parte Fidel ha dimostrato grandi capacità tattiche e strategiche, fautore di conquiste sociali in tema di istruzione e sanità pubblica, è proprio sulle scelte fatte per resistere ai tanti tentativi degli USA di riprendersi l’isola caraibica che sono nati tanti dubbi sulla gestione rivoluzionaria dell’isola. In modo particolare l’alleanza con l’Unione Sovietica, un’abbraccio fatale che ha tolto alla rivoluzione quel genuino spirito popolare per entrare nel gioco più grande del braccio di ferro tra super potenze.
Ma è stato un errore o una scelta obbligata per permettere alla rivoluzione di sopravvivere salvaguardando l’indipendenza, se pur relativa, di Cuba? Questo il grande dubbio che molti hanno e che ha adombrato la luce e le speranze dei primi tempi. Dubbi che non escludono l’ipotesi che una parte considerevole di responsabilità dell’evoluzione politica che c’è stata a Cuba dopo i primi anni non sia stata proprio indotta dai fautori democratici nordamericani oltre che dalla situazione di guerra fredda tra i due potentati mondiali.
Difficile giudicare non essendo stati nei suoi panni (più di seicento attentati alla sua persona e azioni terroristiche tra cui l’attacco della Baia dei porci e l’attentato al Volo Cubana 455, oltre al lungo ignobile embargo) ma può essere utile considerare ciò che aveva intorno, soprattutto dopo la caduta dell’unione sovietica mentre galoppava nel mondo un neoliberismo senza freni, un’ideologia capitalistica radicale che avrebbe portato nel nuovo millennio alla grande crisi finanziaria, oltre che causa di guerre e altri disastri umanitari, sociali e ambientali sotto la bandiera di un distorto e falsificato concetto di democrazia.
Ma sarà mai possibile cambiare il corso della storia? Questa è una delle lezioni che Fidel ci lascia, una dimostrazione eclatante che cambiare è possibile e necessario, contro ogni più nefasta previsione, e che la libertà si ottiene solo con la lotta.
Il discusso Líder Máximo e la relativa classe dirigente, nonostante lo scomodo vicino e il crollo dell’Urss, sono riusciti a garantire a Cuba un livello di civiltà senza eguali nel cosiddetto terzo mondo. Ma non solo. Cuba è accorsa più volte in aiuto di altri stati  con interventi internazionali soprattutto in ambito sanitario.
Talvolta potevano sembrare retorici gli attacchi di Fidel verso un mondo dominato e controllato dal fattore economico in cui gli stessi fondamenti democratici ne sono condizionati, a partire dalle competizioni elettorali alla perdita di controllo sul potere statale da parte dei cittadini, oltre che i destini dell’umanità intera. Un tipo di devastazione che con l’ascesa dell’uomo con la marmotta in testa potrebbe portare a nuove più catastrofiche conseguenze. A Cuba è stata fatta una ricerca di alternativa, anteponendo nelle scelte la cooperazione e le esigenze del popolo, garantendo sussistenza, istruzione, salute, sicurezza e dignità. Un laboratorio unico.
I dubbi però restano se non fosse stata un po’ forzata la difesa della rivoluzione a tutti i costi, restringendo gli spazi di libertà per i dissidenti, umiliando i diritti civili fondamentali e con qualche dubbio su varie altre libertà individuali. Questi i dubbi su cui molti, ma soprattutto tanti organi di stampa occidentali fanno leva, o il crollo progressivo di una speranza per coloro che quella rivoluzione avevano ammirato e amato.

Non ho una risposta e ovviamente non potrei giudicare se Fidel possa essere assolto o meno, nella consapevolezza che le rivoluzioni non sono facili e non sono indolori.

Ma una cosa è certa, che nella storia Fidel ci sarà e per sempre!
#HastaSiempreComandante

Fidel Castro